Gli organismi marini captano la presenza odorosa di prede e predatori ma anche di partner o alleati. Tutto questo sembrerebbe sia destinato a modificarsi
La pizza è indissolubilmente collegata al suo odore. Unico e facilmente identificabile, si può immaginare un futuro in cui la pizza cambi odore? O in cui l’odore di pizza non sia connesso con la pizza stessa? È quello che sta succedendo negli ambienti marini. Anche qui molti organismi (come alghe, piante e animali) producono sostanze odorose mentre altri organismi ne ricevono i segnali e ne interpretano le informazioni trasportate.
Possono i cambiamenti climatici incidere sull’odore del mare? La risposta arriva dai ricercatori della Stazione Zoologica Anton Dohrn che hanno studiato gli effetti dell’acidificazione oceanica sulle comunicazioni chimiche tra le componenti vegetali e animali, elementi fondamentali per il funzionamento e la connettività degli ecosistemi.
Il risultato è che il riscaldamento globale e l’acidificazione dei mari stanno influenzando profondamente il metabolismo degli organismi e sembrerebbero essere alla base delle alterazioni al sistema di comunicazione “odorosa” in mare.
Accanto agli studi focalizzati sugli effetti diretti delle attività antropiche sulle specie marine, in particolare, i ricercatori della Stazione Zoologica della sede di Napoli, di Ischia e della nuova struttura calabrese di Amendolara, si son chiesti quali e di che portata potessero essere gli effetti indiretti sulle comunità marine, specialmente quelle ad alta biodiversità, quali ad esempio le praterie di Posidonia oceanica. Oltre a tutta una serie di conseguenze, come l’aumento della mortalità in alcune specie, la fioritura di alghe tossiche, la stratificazione della colonna d’acqua ecc., ci si è soffermati sugli effetti legati alla capacità delle specie marine di “comunicare”.
Se è vero, infatti, che la capacità di comunicare è presente in tutti gli organismi, dai batteri fino all’uomo, in tante specie la comunicazione mediante segnali chimici rappresenta la modalità più evidente. Negli ecosistemi marini raggiunge la massima espressione con, da un lato, la capacità degli organismi di percepire gli odori tramite contatto e, dall’altro, quella di identificare le molecole volatili che trasportano informazioni e interpretarle sulla base di un numero elevato di variabili, dall’intensità di tali “odori” al modo in cui questi vengono recepiti.
Lo studio SZN, dal titolo “Ocean Acidification affects volatile infochemicals production and perception in fauna and flora associated with Posidonia oceanica” e pubblicato sulla rivista internazionale Frontiers in Marine Science, è stato condotto su due diatomee (Cocconeis scutellum var. parva e Diploneis sp.) e una macroalga (Ulva prolifera) che sono state isolate e coltivate a due condizioni di pH (8,2 e 7,7). La loro biomassa è stata raccolta e sono state testate le reazioni chemiotattiche degli invertebrati innescate dai composti organici volatili. Successivamente, sono stati effettuati esperimenti sulla scelta degli odori su diversi invertebrati associati a praterie di Posidonia oceanica per studiare la modifica delle risposte comportamentali dovute alla crescita delle alghe in ambienti acidificati.
Lo studio ha dimostrato che l’acidificazione degli oceani altera il bouquet di composti organici volatili rilasciati da diatomee e macroalghe e che questi composti innescano peculiari risposte comportamentali negli invertebrati bentonici. Questo significa che, negli ambienti marini futuri, concentrazioni di CO2 più elevate (che potrebbero portare a un pH 7,7 entro la fine di questo secolo) modificheranno la produzione di composti organici volatili di micro e macroalghe nonché il loro riconoscimento da parte degli invertebrati marini. L’acidificazione marina, quindi, sembra interferirà fortemente con la capacità delle specie marine di comunicare.
Al punto che, in futuro, come dimostrato da alcuni ricercatori italiani e tedeschi all’interno di un più ampio progetto internazionale (Acid.it project), si potranno osservare animali che invece di fuggire correranno verso i propri predatori, altri che non riconosceranno il proprio alimento, altri ancora che vedranno alterata la propria fisiologia e la capacità stessa di riprodursi. Queste alterazioni, in quelle che vengono definite “reti trofiche” marine, hanno poi conseguenze indirette a vari livelli anche sull’uomo: impoverimento degli stock ittici, degradazione degli ambienti naturali nonché perdita di molecole importanti per le biotecnologie, come ad esempio quelle con interessanti prospettive nella lotta contro il cancro. In conclusione, se le conseguenze sono difficili da prevedere, sicuramente impatteranno duramente sulla vita sulla terra e sull’economia umana.
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